Una non breve cronaca del mio percorso professionale da Ca’ Foscari a Siberika.it per gli eventualmente interessati
Fine anni ’80- anni. ’90. Da Treviso a Mosca
Quando, frequentando la quarta liceo scientifico della mia città natale, Treviso, decisi che all’ universita avrei studiato russo, non avevo alcun dubbio, sebbene di russo conoscessi solo una parola, il mio nome di battesimo, Vera (fede). Allora esisteva l’enorme paese dell’Unione Sovietica, con tutte le sue numerose repubbliche, e niente era come oggi. Al dipartimento di russo di Ca’ Foscari diretto dal prof. Vittorio Strada eravamo in pochissimi, tutti accomunati da un inesauribile entusiasmo per la lingua e la cultura russa che ancora oggi mi fa incontrare con Diana, Vera, Laura, Stefania e Sandra, e ci fa ricordare la nostra compagna Franceschina, ormai non più con noi.
Vidi Mosca per la prima volta nel 1984. Fu amore a prima vista. Quando in seguito, già laureata in russo, decisi che mi sarei trasferita a Mosca, sapevo con certezza che era l’unica città in cui io avrei voluto e dovuto vivere. Non so perchè, era cosi e basta.
Mi trasferii definitivamente a Mosca nel 1992 e mi sposai con un cittadino russo; nel 1995 e nel 1999 arrivarono i nostri due figli. In questo periodo lavoravo presso la scuola italiana di Mosca che allora si chiamava “Costanza Vinci”. Per poter insegnare ai bambini della primaria della “Costanza Vinci” in conformità ai requisiti di legge, rientrai a Treviso per qualche mese, giusto il tempo di ottenere il diploma magistrale come maturanda esterna e mettere al mondo il mio secondo figlio, nato proprio il giorno dell’ultimo esame scritto. Dopo poco ero nuovamente in Italia per partecipare a un’altra prova: il concorso per titoli ed esami indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1999-2000. In quest’occasione mi aggiudicai un incarico a tempo indeterminato e fui invitata a insegnare lingua e cultura russa a un liceo di Cividale del Friuli. Avevo deciso di partecipare al concorso al fine di ottenere l’abilitazione all’insegnamento, non per vincere una cattedra in Italia, così, senza esitazioni, rinunciai a “un posto fisso” in Italia e rimasi a vivere a Mosca con la mia famiglia. Nonostante le disavventure che mi sarebbero capitate, non me ne sarei mai pentita.
Anni 2000. Mosca. La scuola “Costanza Vinci”, poi “Italo Calvino” e l’ufficio istruzione dell’Ambasciata d’Italia. Una squallida storia di mogli, attaché culturale e licenziamenti, finita con uno slancio verso un nuovo percorso.
Gli anni di lavoro alla “Costanza Vinci” furono intensi, impegnativi ed estremamente formativi sia per la mia crescita professionale di insegnante che per la mia visione del mondo. Dagli scolari imparai ad esprimermi con semplicità, non dare nulla per scontato, esercitare la pazienza, allenare la fantasia per tenere la loro attenzione viva e altre abilità derivate che mi sarebbero servite in futuro.
La “Costanza Vinci”, oggi “Italo Calvino”, è una scuola privata parificata patrocinata dall’ambasciata d’Italia di Mosca. Esiste da tantissimi anni e nel tempo ha avuto una storia molto travagliata. Negli anni in cui operai io la scuola era di fatto una realtà didattica praticamente autogestita rimasta in piedi (dopo la fine dell’incarico delle Direttrici ministeriali) grazie al lavoro congiunto e all’entusiasmo di una commissione di genitori (Ente Gestore) e del collettivo docente. Ci lavorai sia come maestra che come direttrice della scuola primaria e materna. Ricordo ancora con molto affetto i membri dell’Ente Gestore di allora e i colleghi, con cui avviammo con onestà e dedizione progetti didattici importanti per i nostri allievi e per noi stessi.
Quando la scuola cambiò denominazione, cambiarono anche molte cose al suo interno. Italo Calvino è uno dei miei autori preferiti ma purtroppo, proprio negli anni in cui la scuola cominciava ad esibirne il glorioso nome, all’interno delle sue mura si produssero vergognosi casi di arbitrio e oltraggio alla persona, manifestazioni d’abuso assolutamente opposte alla visione del mondo del nostro grande scrittore e che lui avrebbe senz’altro denunciato e condannato. A perpetrarle fu il nuovo Ente Gestore della scuola, ovvero mogli di manager di importanti aziende italiane, assistite, supportate e pilotate dal responsabile dell’ufficio istruzione dell’ambasciata d’ Italia a Mosca altresì noto con la più prestigiosa definizione di “attaché culturale”.
Il risultato dell’operato di tale Amministrazione fu il licenziamento senza giusta causa di docenti e personale ausiliario in servizio da molti anni. Oltre a me, “persona non grata” e invisa soprattutto all’“attaché culturale”, furono licenziati altri colleghi docenti e fedele personale ausiliario, da decenni impiegati nella scuola. (il contratto d’assunzione era talmente irregolare da lasciar spazio a simili arbitri.). Le lettere di solidarietà alla nostra causa firmate da molti genitori di scolari non crearono risonanza nelle stanze della Rappresentanza Diplomatica e quale fosse il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia a codesta manifestazione di ingiustizia e soperchieria non ci fu mai dato sapere.
L’ambasciatore dell’epoca, rispondendo con solerzia alla mia richiesta di spiegazioni dell’illecito e facendomi l’onore di darmi quasi immediata udienza, per risolvere in qualche modo la questione si propose addirittura di aiutarmi nella ricerca di un nuovo lavoro, nonostante avessi piu volte dichiarato che lo scopo per cui mi trovavo al suo cospetto era quello di segnalare l’abuso di potere di un suo sottoposto e dell’Ente Gestore di una struttura patrocinata dall’Ambasciata, e non certo quello di ottenere raccomandazioni da Sua Eccellenza l’Ambasciatore. Era l’estate del 2007 e si era appena concluso l’anno scolastico 2006-2007.
Nella speranza di ottenere comunque giustizia decisi di denunciare il sopruso rivolgendomi direttamente al Ministero degli Affari Esteri. Ci misi un po’ di tempo a preparare il mio esposto, corredandolo da 17 documenti comprovanti gli abusi di potere del pubblico ufficiale in questione e le irregolarità compiute dall’Ente Gestore nei riguardi del personale licenziato. In un giorno di fine ottobre del 2007 mi recai all’ Ambasciata per farlo inoltrare a Roma e nei mesi successivi restai in fiduciosa attesa di una risposta. Nessuno rispose e nessuno mi querelò, nonostante avessi fatto nome e cognome del funzionario responsabile dell’illecito e di altre persone. Silenzio assoluto. Allora ero totalmente ignara del fatto che un Sistema, al fine di azzerare i movimenti di chi attacca i suoi membri e simpatizzanti, utilizza un’arma infallibile e di precisione: il “muro di gomma”. Silenzioso, innocuo, ecosostenibile e ad altissimo risparmio energetico.
All’elastico muro di gomma di quel tempo rendo tuttavia grazie oggi: facendomi rimbalzare al di là dei suoi limiti esso di lì a poco mi avrebbe permesso di accedere a percorsi di saggezza e a una visione del mondo tali da persuadermi a smorzare il rancore verso i miei offensori, se non addirittura ad annullarlo.
Dal 2007 a oggi. La riscoperta di un’inclinazione.
Il 2007 fu dunque per me un anno spartiacque. Dal fronte professionale la crisi si estese al privato e non fu facile opporvi resistenza. Mi aiutò la mia innata tendenza all’azione e il forte desiderio di non esternare in alcun modo ai miei figli il negativo delle vicissitudini che mi stavano coinvolgendo. Intrapresi una carriera di insegnante privata di italiano e cominciai un percorso di crescita personale che mi portò a leggere pagine folgoranti di pensatori russi e al contempo a ripescare prepotentemente dal sottosuolo delle mie risorse una passione dimenticata, quella per la traduzione. Mi sembrava infatti doveroso condividere con i miei connazionali certi strumenti e stimoli provenienti dalle letture che stavo affrontando, così, riscoprendo il dilettevole nell’utile, permisi alle mie sopite aspirazioni studentesche di aprirsi nuovamente un varco.
Ora i tempi sono cambiati e per fortuna il mondo editoriale si è aperto all’ingegno e all’intraprendenza dei singoli, ma allora, quand’ero ancora laureanda alla facoltà di Slavistica dell’università Ca’ Foscari di Venezia, non era così. Per accedere ai circuiti editoriali bisognava essere figli di qualcuno o avere “il contatto giusto” ragion per cui sperare di trovare un incarico come traduttori rimaneva un sogno che in tanti infilavamo prontamente nel cassetto. Ed ecco che ora le avversità della vita mi lasciavano intravvedere un risvolto inatteso, un percorso di recupero della mia passione giovanile per la traduzione. Le tecnologie permettevano già di intraprendere cose impossibili fino a poco tempo prima, progetti indipendenti che non richiedevano né di avere capitali iniziali, né di godere di protezioni o contatti privilegiati: piena libertà d’azione nello spazio libero e gratuito di Internet.
Russiainedita.it
Stimolato dalle illuminanti letture di quegli anni e dal desiderio di condividerle con il pubblico di connazionali, nacque cosi il mio primo sito, russiainedita.it. Persino il mio doppio nome proprio russo-italiano, Vera-Giovanna, si presentava ora ai miei occhi come una conferma del compito di mediazione linguistica di cui mi stavo progressivamente convincendo. Esso infatti, a un’attenta riflessione, sembrava quasi un messaggio di predestinazione creatosi “per uno strano caso”, essendo il prodotto, da una parte, della ferma intenzione dei miei genitori ad assegnarmi un nome non italiano e, dall’altra, dell’errore di trascrizione commesso dall’addetto all’ufficio anagrafe che di sua iniziativa aveva bizzarramente accorpato al primo, il secondo nome prescelto in onore della nonna paterna (ma non per rimanere immortalato nel registro dell’anagrafe), peraltro servendosi di un improbabile trattino che in futuro mi avrebbe procurato un sacco di fastidi. Di questo sbaglio i miei amatissimi genitori si accorsero molto tardi, ragion per cui il curioso binomio rimase per sempre a designarmi e forse davvero a segnarmi la strada che avrei dovuto imboccare e mantenere.
In russiainedita.it confluirono brani tradotti tratti dalle opere dei numerosi pensatori russi cui mi ero avvicinata e da cui avevo ricevuto una forte carica propulsiva. Alcuni di essi si sarebbero evoluti in libri di successo, come la serie Transurfing. Di questa eccezionale tecnica di gestione della realtà e del suo autore, Vadim Zeland, divenni portavoce convinta e fedele. Fu proprio la lettura dei libri del Transurfing I-V ad estrarmi letteralmente dalle sabbie mobili in cui stavo affondando e ancora oggi sono immensamente riconoscente e grata a Vadim e ai suoi testi per avermi aiutato a gestire la mia difficile situazione esistenziale e per aver al contempo rinfocolato la mia scintilla di traduttrice. Della serie Transurfing ho tradotto sinora 11 libri (il 12-esimo è in arrivo), tutti diventati best seller. In seguito, un lavoro importantissimo nel mio curriculum di traduttrice sarebbe stato 400 anni di inganni, una crestomazia dedicata alla Nuova Cronologia del matematico A. T. Fomenko e forse la mia prova in assoluto più difficile e laboriosa.
Siberika.it
Procedendo per il cammino della crescita personale, di training in training, di autore in autore, di curiosità in curiosità, sarei arrivata a scoprire i risultati di ricerche scientifiche dedicate alle risorse naturali dell’immenso territorio russo (mumije, chaga, prodotti delle conifere etc) e di certe pratiche di autoguarigione diffuse nel paese. Decisi di raccogliere i risultati delle mie molteplici indagini, portate avanti anche con il prezioso aiuto dei miei familiari, in un nuovo sito, Siberika.it.
Tra le pratiche di autoguarigione in modo particolare mi colpì la digiunoterapia (RDT) propagandata in URSS negli anni ’70 del secolo scorso dallo psichiatra Jurij Nikolaev, e il metodo del digiuno secco, divulgato da un suo allievo, il dr. Sergej Filonov.
Nel 2016 mi incontrai a Mosca con il dr. Filonov e da allora ebbe inizio la nostra stretta collaborazione. Investii tempo, vista ed energia nella traduzione della sua bellissima monografia dedicata ai miti e alla realtà del digiuno secco terapeutico e decisi di non cercare editori. Me la sarei gestita da sola. Siberika, da sito, diventò anche un progetto editoriale indipendente e autogestito che nell’arco di poco più di un paio d’anni sarebbe riuscito a produrre 4 libri: la monografia Il digiuno secco. Gli ultimi sviluppi della digiunoterapia in Russia, il suo compendio Venti domande sul digiuno secco, la versione inglese Dry fasting. Twenty questions and answers e la prima monografia in lingua italiana dedicata al fungo di betulla chaga Le proprietà antitumorali del fungo chaga. Le evidenze scientifiche dei ricercatori sovietici.
Nel mio cassetto tanti sono ancora i sogni che mi auguro di realizzare e proporre quanto prima ai nostri lettori. Non mi mancano né la volontà, né l’entusiasmo, né l’energia, né la visione d’insieme, né le risorse. Col tempo invece sono messa un po’ male. Con grande passione mi occupo anche di insegnare l’italiano agli studenti della facoltà di scienze economiche e sociali dell’Accademia R.A.N.E.P.A. di Mosca e una parte della mia giornata è pertanto dedicata a quest’incarico, importantissimo per me.
Del resto il tempo è un concetto relativo. Sto arrivando a convincermi che è in nostro potere modellarlo e farlo aderire alle misure dei nostri sogni. Vedremo.